lunedì 6 settembre 2010

I PRIMI 20 RACCONTI - IL CIELO IN UNA... STRONZA!

RACCONTO NUMERO 1

Felice, ma tu sei felice?

Finalmente il gran giorno! Quell’ultimo anno era stato un climax ascendente di belle e forti emozioni: Letizia l’aveva reso l’uomo più felice del mondo. Era Felice di nome e di fatto. Spesso Fausto sfottendolo gli diceva: “Felice, ma tu sei felice?”. E lui tutto fiero: “Certo. Felice con Letizia!”. Dopo due mesi di frequentazione decisero di sposarsi.
“Presto ci sarà un evento fausto: io e letizia ci sposiamo”disse Felice a Fausto. “Di già? Ma non starete correndo troppo?” Incurante dei vari dubbi seminati da amici e parenti lungo il sentiero dei preparativi la coppia Felice-Letizia proseguì sicura per la propria strada.
Felice, come pegno d’amore, soddisfò uno dei desideri più grandi di Letizia: avere un cavallo.
Quel cavallo li avrebbe portati in groppa verso il ristorante e il loro radioso futuro insieme.
Felice aspettava emozionato sull’altare.
Un quarto d’ora di ritardo: niente di strano.
Mezz’ora: la sposa si fa desiderare!
Un’ora: forse qualcosa non va.
Due ore. Arrivò il testimone della sposa con un viso senza espressione, una statua di sale, in una mano il bouquet e nell’altro un biglietto. Felice iniziò ad avere i sudori freddi: con quei capelli lunghi, quella faccia bianca e l’abito scuro gli sembrava proprio “il corvo”. Si rivelò un avvoltoio.
Lasciò bouquet e bigliettino nelle mani dell’inebetito Felice. Il bouquet cadde a terra rotolando: sembrò a tutti che volesse fuggire via!
Nel biglietto poche parole.
“Felice, mi fai felice ma non mi basta.
Ho bisogno di sentirmi amata.
Io amo Eros. ”
L’Eros in questione era il testimone.
Una rabbia irrefrenabile montò su Felice che rivolgendosi al cavallo iniziò a gridare “Sparisci dalla mia vista brutto cavallo di troia!”. Felice era impazzito e Fausto non osò più chiedergli: “Felice, ma tu sei felice?”.


















RACCONTO NUMERO 2

Facebook, 12 marzo 2010, ore 12.38
Bacheca di Farfallina: «Il mio amore è bellissimo, mi riempie di attenzioni, lo amo da impazzire! Ora pubblico le nostre foto insieme al mare!»
Commento di Marco: «Amore, sei la luce dei miei occhi! Non so come farei senza di te. Ti amo.»
A Sara piace questo elemento.
Facebook, 13 marzo 2010, ore 00.48
Bacheca di Marco: «Le farfalle sono meravigliose nel loro destreggiarsi per aria. Ora che ho trovato te, Farfallina, le mie giornate si riempiono di colore.»
Commento di Sara: «Ma come sei romantico! Menomale che ha trovato te!»
Commento di Marco: «Faccio del mio meglio per renderla felice. Anche tu dovresti cercare qualcuno che ti renda felice.»
Commento di Sara: «Sarebbe bello, ma quel qualcuno ha già il cuore impegnato!»
Facebook, 12 aprile 2010, ore 16.20
Bacheca di Farfallina: «Mi piacerebbe poter entrare nei tuoi pensieri per capire cosa ti passa per la testa. Sei sparito da qualche giorno. Il mese scorso mi scrivevi cose bellissime, ed ora non c’è traccia di tutto questo. Mi ami ancora? Ti prego, rispondimi.»
Facebook, 13 aprile 2010, ore 19.45
Bacheca di Sara: «Finalmente la felicità è arrivata anche per me! Qualcuno mi fa battere il cuore. Non mi importano le conseguenze. Non sono mai stata così felice!»
Commento di Farfallina: «Mi fa tanto piacere amica, chi è il fortunato?»
Commento di Sara: «Non lo conosci, cara…»
Facebook, 16 aprile 2010, ore 03.56
Bacheca di Farfallina: «Sapevo di non dovermi fidare di te! Ti credevo un’amica, invece hai rovinato tutto! Lui è stato al tuo gioco! Bastardo! Mi fate schifo, falsi ipocriti!
Facebook, 16 aprile 2010, ore 04.50
Bacheca di Marco: «Bambina mia, Sara, piccolina, ora sono tutto per te. Sogni d’oro Stellina, ti amo.»
A Sara piace questo elemento.

















RACCONTO NUMERO 3

“Senti tesoro, non sento mai il telefono quando mi chiamano, com’è che faccio a togliere il… tremolio?!”
“Cosa nonna?”
“Mah sì, come si chiama… ogni volta che mi chiamano non rispondo perché c’è il vibratore! Tu lo sai togliere?”.

Fare le vacanze con la mia svanita nonnina si sta rivelando un’esperienza incredibile: mi coccola e vizia, cucina fritture di pesce deliziose e cura le mie ferite d’amore con sorbetto al limone e racconti di quando ero piccola. Una volta reimpostatale la suoneria, mi faccio prestare il telefono e decido di fare quella telefonata che rimando da due settimane.
“Ciao sono io, come stai?”
Dall’altro capo il mio ex risponde sorpreso, con voce assonnata: “bene, e tu?”
“Volevo sentirti… mi hai pensata almeno un po’? ti manco?”.
Lui non risponde – che si sia riaddormentato?!
“Luca, ci sei?”
“Non capisco cosa vuoi” (almeno è sveglio) “sono via con amici e… senti Laura, mi rendo conto che questo non è il modo migliore per dirtelo ma, tanto vale…”
“Dirmi cosa? Quanto dovevo aspettare prima di richiamarti? E poi perché non rispondi più al mio numero? Ho dovuto farmi prestare il telefono della nonna per poterti sentire!”
“Quante settimane sono già passate da quella sera?” mi chiede incredulo il mio ex “comunque, è inutile aspettarmi, io ho deciso: sto con Andrea”.
“Ma sei sicuro? Non è che sei in una fase? Capita e… i nostri progetti?”
“Adesso è tutto diverso, io sono ‘diverso’ o meglio lo sono sempre stato ma adesso lo so… e dai ci hai trovati a letto insieme!... Ciao Laura” e Luca riaggancia.

In quel arriva mia nonna… “tesoro… ah scusa pensavo che avessi finito di telefonare, ma… piangi?! Oh no piccola, e non dirmi che sei ancora al telefono con quel culattone del tuo ex!”
Forse la mia dolce nonnina non è così svanita come penso, e io sono una povera stronza.


















RACCONTO NUMERO 4

All’improvviso la vidi: bella, alta, bionda fisico atletico e muscoloso stava spingendo un carrello a pochi metri da me. Ne rimasi ipnotizzato e quasi senza volerlo cominciai a seguirla, aveva qualcosa di vagamente familiare che mi incoraggiava. Improvvisamente proprio lei mi chiese sorridendo: “ Sa dov’è il reparto orto-frutta?”. Da allora non abbiamo più smesso di chiacchierare. Si chiamava Lucia ed era impiegata comunale, le piaceva lo sport e sapeva tutto dell’Inter. Io ne rimasi subito estasiato, ebbi immediatamente la certezza che, se c’era una donna al mondo per me ,ebbene l’avevo trovata. Ci salutammo cortesemente senza scambiarci i numeri del telefono. L’indomani ero ancora all’ipermecato e fu così per tutti i giorni della settimana. Finalmente, il martedì della settimana successiva la rividi ai dolciumi. Come al solito fu lei a parlare “ Ciao Annibale, sono contenta di rivederti come mai qui?. Divenni immediatamente rosso fuoco e finsi di non capire, ma ero traboccante di felicità. Da allora continuai ad andare all’ipermercato tutti i giorni, fino alla scorsa settimana ,quando mi diede appuntamento di sera fuori dall’Iper. Mi invitò in un Night dancing un po’ particolare, quando arrivai non la vidi subito, ma quando uscirono le soubrette ebbi la sorpresa di trovarmela davanti troppo vistosamente truccata e con i tacchi altissimi: era una Dark Queen. Era un uomo, ecco perché era stato così facile parlarle!. Purtroppo poco dopo, al tavolo, mi disse anche il suo vero nome Bertollo Lucio. Mi si accese allora la famosa lampadina in testa: era mio cugino Lucio, era sposato ed aveva anche due figli al paese. Pensare che se fosse stata una donna, non fosse stata mio cugino, non fosse stata sposata e non fosse stata così stronza, avrei trovato l’amore.



























RACCONTO NUMERO 5

Mi chiama e mi chiede: "Ti va se pranziamo insieme?"
'Mi va se pranziamo insieme e sai cosa ancora di più? Mi va se pranziamo insieme e poi non mi chiami mai più, tu e il tuo dirmi che sono brutto ma così brutto che secondo te sono di un'altra specie. E sai cosa ancora di più? Ancora di più mi va se non ci vediamo per niente, almeno fino a quando non mi riscrescono i capelli, chè da quando li ho tagliati mi dici che l'unica differenza tra me e Calimero è che lui è nero e io sono bianco ma così bianco che forse sono morto e non lo so. E sai cosa ancora di più? Ancora di più mi va se dopo pranzo andiamo a mangiare il gelato alla crema e, come l'altra volta, ci scattiamo le foto in cui sorridiamo e abbiamo la faccia da ebeti e siamo tanto carini. Pensandoci, quasi mi intenerisco a guardarle. Certo, sei stata un po' stronza a dirmi che se fossi stato diverso mi avresti amato per quello che ero. Ma sai cosa? Credo che dovremmo smetterla di essere due persone che si piacciono e diventare almeno due persone che si frequentano senza impegno. Magari evitando di frequentare altre persone. Magari poi una volta ti presento i miei. Il matrimonio di mio cugino sarebbe un'ottima occasione'.
"Mi va se pranziamo insieme", le dico.
"Bene, porto anche il mio ragazzo allora, così te lo presento. A dopo".
Meno male che nella vita ci sono cose più importanti, come il gelato alla crema.






























RACCONTO NUMERO 6

– Oh, che ristorantino delizioso! – esclama Veronica, ravviandosi il ciuffo dietro l’orecchio, – Tesoro, deve essere davvero molto costoso, eh?! –. Sbircia la cifra sul conto e batte le mani dall’entusiasmo: quanti numeri!
– Per la mia futura sposa solo il meglio! – sorride Renzo, tutto fasciato nel suo completo giacca e cravatta.
Veronica gli prende la mano e lo trascina lungo il sentiero, attorniato da oleandri e lampioni accesi.
– Non riesco a smettere di guardare i tuoi occhi: brillano di luce propria! Sono felice... di vederti felice!
– Oh! – si illumina Veronica, con la porcellana e il cristallo dei bicchieri stampati sulle iridi, – Finché mi porterai in posti così lussuosi lo sarò sempre! Lo farai spesso, vero?! –.
– Vedremo... – risponde Renzo, a metà fra l’imbarazzato e il sostenuto. Coppie sedute ai tavoli sembrano ascoltare la loro conversazione e questo lo mette a disagio.
– Perché?! Che cosa c’è da vedere, amore? – insiste, facendogli il solletico sul naso.
– Da vedere? Direi... niente!
– E poi tu sei così ricco!
– Veronica! – la ammonisce sottovoce – Sì, certo... ma frena l’entusiasmo! Non sta bene davanti ad altri! –.
Ella sporge il labbro superiore, piagnucolosa, e Renzo si lascia sfuggire una risata, perché non sa resistere davanti ad un broncio così carino.
Dopo averla riaccompagnata a casa, torna nel suo appartamento, sospirando d’amore. “E’ la donna della mia vita” mormora fra sé e sé. Sognando il suo volto, sente il bisogno di vedere una sua foto e apre Facebook. Ogni album è un ricordo di felicità: il viaggio a Roma, la gita a Venezia... Improvvisamente, appare un’ immagine appena inserita, scattata nel giardino di oleandri. I loro volti sorridenti con la didascalia “Io e il mio Bancomat”.
Il Bancomat si ripiega su se stesso, come una banconota stropicciata.




















RACCONTO NUMERO 7

(Un cielo tutto nostro)

Nel richiamare alla mente quel breve amore, durato lo spazio di una notte buia, devo dire di aver fatto tutto io: lei, più che altro, deve essersi divertita. La mia corte le era piaciuta molto ed era rimasta affascinata dal modo in cui le riempivo di immagini luminose e uniche quel cielo cupo senza luna.

C’eravamo messi in un prato, che rivisito spesso con rabbia nei miei pensieri. Mi ero messo a comunicarle, a parole e a gesti, il mio amore; con le mani allungate verso il cielo avevo disegnato tante immagini, tutte provenienti dal mio gonfio cuore entusiasta: si erano formate sagome che si incollavano sulla superficie nera di quella notte bituminosa, rischiarandola.
Ora che ci penso, la prima immagine che devo aver applicato al cielo deve esser stata quella dei suoi occhi chiari. Stava magnificamente lassù. Lei se ne era compiaciuta.
Ciò che andavo proiettando io là in alto era bello, sostituiva le stelle; lei mi dava conferme con smorfie e risatine.
E così la notte si era fatta un poco meno cupa. E lei, in apparenza, si era appassionata sempre più.
Io, incoraggiato, avevo creato un infinità di altre rappresentazioni.
L’alba era vicina e avevo dato vita ad un mondo tutto nostro. Un cielo entusiasmante che aveva coperto quello scuro sotto il quale ci eravamo incontrati.

Avevo finito. E lei: “Bravo, è stato divertente…Dobbiamo farlo ancora, una di queste sere, vuoi?”

“Divertente?” avevo ribattuto, continuando: “Tutto qui? Ma io credevo che…”

Lei si era alzata e se ne era andata, ridendo. Ma che aveva sempre da ridere, poi?

Un cielo così, uno di quelli che dipingo io, era sprecato per una stronza del suo genere. Questo mi ero detto. Fatto sta che, con un frenetico agitare di mani e scalciar di piedi, lo avevo fatto crollare su quel prato maledetto.

Con la speranza di poterlo ricomporre per qualcun’altra.













RACCONTO NUMERO 8

Nero


Una sala chiusa da una flessuosa porta di vinchi di bambù. È buia. Fitta cupezza su tutto… disfatta, improvvisamente, dall’immota fiammella di un accendino.
“Ehi, dormi?”
“No… Fa caldo”.
“Ti dà fastidio se fumo?”
“Sì”.
“Beh, allora esco”.
Si alza. Apre la porta-finestra che mette nel piccolo poggiolo. Fuma. (È alta. Curve ben riposte. Seni nudi. Tatuaggio tribale sul dorso del piede, anch’esso scoperto. Come tutta la sua figura, fungiforme).
“Ti arriva?”
“No”.
“Sei sempre così stronzo con le ragazze?”
“Io mi faccio gli affari miei, e me li faccio così bene che non potrei mai, in nessssun modo, dar noia a nessuno”.
“Ahahah! Ahahahah!”
(Ombroso). “Mica era una battuta”.
“…Ti sei bevuto tutto ciò che c’era in frigo. E ora?”
(Spicciolo). “Non so. Te l’ho detto… fa caldo”.
(Propositiva). “Andiamo a prendere qualcosa sul lungomare?”
“Troppi turisti. Troppo traffico”.
“Continui ad essere stronzo. È un’abitudine?”
“Non ho abitudini”.
S’appoggia alla ringhiera del poggiolo. Stende le braccia sulla cimasa. Piega la testa di lato. (I capelli pendono: mossi, debolmente, dal maestrale).
“Sei strano”.
“Dai, ritorna qua”.
“Nu”.
“Perché?”
(Afona). “Perché non mi va”.
(Debolmente). “E perché non ti va?”
Si stacca dalla balaustrata… Si adagia sul letto. Schiocca l’accendino. Infiamma la cima della sigaretta… Striate di fumo.
“Te l’ho detto, perché sei stronzo”.









RACCONTO NUMERO 9

Ci risiamo:‘na patata lessa è più reattiva di Alice. Faccio un po’ di OM OM con gli occhi chiusi e mi preparo a riascoltare l’ennesima stronzata del Piacione.
LUI: camicia aperta fino all’ombelico, croce d’oro 12X5 che anticipa, ed aiuta, artrosi cervicale che non vede l’ora di esplodere,jeans Cavalli stretti, cavallo tiratissimo su bozzo innaturale, calzini bianchi, mozziconi di peli che urlano vendetta, sopracciglia ad ali di gabbiano su sguardo… niente sguardo…. e capelli… beh… Montalbano è meglio.
LEI: (Alice, mia amica del cuore e donna di LUI) sobria, essenziale, senza trucco nè gingilli, sguardo dolce che tutto comprende e giustifica, trasparente, delicata, bella persona.
IO: come Alice prima di Giulio(a.G.); dopo Giulio (d.G.) una vera stronza, capelli lunghi, tacchi a spillo, maglie strette, intrigante, bracciale vistoso, no orecchini (l’ultimo è scomparso nell’apparato digerente di…Carlo? Guido? Boh ?!) rossetto rosso e nella borsa il martello di Thor da lanciare come una valchiria contro chiunque voglia da me una relazione più lunga di uno starnuto.
Alice mi parla con gli occhi a goccia e le occhiaia nere. Le chiedo “Ti ha di nuovo regalato per il compleanno l’agenda-omaggio che gli rifilano ogni anno senza neanche togliere il biglietto Auguri caro geometra?” “No quest’anno è andata meglio” risponde sommessa “vai in sala”. Entro piano nella camera con l’elegante moquette verde, i vetri coloniali, i fiori e sul divano di velluto rosso c’è un grande pacco aperto con fiocco rosa da cui spunta una meravigliosa e smagliante punta di un Trapano Lucido Nero Abbagliante.
OM OM ripeto per controllarmi, prenderla finalmente a schiaffi, scuoterla svegliarla e regalarle il mio fichissimo martello di Thor, azzurro, questo sì, come un principe…

























RACCONTO NUMERO 10

Questa storia, è iniziata male e, se possibile, finita anche peggio. Chi ha cuore debole e romantico non ascolti, l'autore comprenderà e ne farà tesoro.
Dunque… 7 luglio… Elio festeggiava le sue trenta lune. Erano una ventina, alcuni accoppiati, altri spaiati e tra questi Marco e Mara, coincidenti per la lettera iniziale e una certa sonorità che legava i loro nomi. Caciarone e perditempo, lui non mancava uno specchio per darsi una guardatina o un ritocco, una volta al fluente ciuffo, una volta al collo della camicia, introversa e pura, lei era come mamma l'aveva fatta, ma cresciuta, compresi dei bei baffetti, rigogliosa e morbida peluria sotto le ascelle, gambe vergini da ceretta o altri generi di depilazione.
Bene, per la teoria che gli opposti si attraggono, accadde che i due sguardi si incrociarono, una prima volta durante le presentazioni, di seguito molte altre volte ancora. Scambiata qualche scherzosa parola, alla fine della serata, si scambiarono i numeri di telefono. Nei mesi seguenti ebbero un'assidua frequentazione, nonostante Mara sentisse che qualcosa in lui la infastidiva, e Marco, dal canto suo, non soddisfava la sua sessuale irruenza. Decisero di convivere. La spinta propulsiva la diede il fatto che lui era in casa con un cugino e famiglia e lei aveva un appartamento in periferia, lasciato libero dalla nonna, trasferitasi in campagna. I giovani, si sa, amano l'autonomia. Dopo un anno si giurarono amore eterno e dopo tre nacque Matteo. Lei dentro casa, lavoro e figlio, lui fuori con amici, sport e donne. Si guardavano e non si vedevano e finirono per non guardarsi più. Si separarono dopo ventidue anni. Forse troppi, direte.
Con ciò mi sento di affermare che gli opposti di sicuro si attraggono, ma di qui a che poi il complesso meccanismo funzioni, ce ne vuole.










RACCONTO NUMERO 11

INAPPETENZA


“No: proprio non ho fame” Posò la lista sospirando, poi gli sorrise eterea.
Era il loro primo week-end, banco di prova di una storia appena nata.
“Sei sicura?”, le chiese premuroso.
Elisa scosse la chioma bionda e sussurrò: “Mi basti tu”.
Gianni le fece gli occhi da pesce, poi ne ordinò uno al cameriere.
All’arrivo dell’orata gli occhi di Elisa brillarono.
“Vuoi assaggiarla?”
“Solo per sentire com’è”
La sua forchetta vibrò nell’aria e arpionò il pesce tranciandone una porzione che sparì tra i suoi labbruzzi.
Gianni spostò il piatto verso di lei. “Prendine ancora!”
Lei si schermì. “ Ma, se insisti”. Una seconda forchettata fu avidamente inghiottita.
“Ne ordino un’altra”
“Vuoi scherzare?”
Gianni cominciò a mangiare sentendosi osservato. Imbarazzato respinse il piatto.
“Beh: se ti devo aiutare! E’ un peccato sprecarlo”
Succhiò persino la testa.
“E’ la parte migliore”, sostenne nettandosi le dita.
La sera Gianni non riuscì a gustarsi né gli spaghetti alle vongole, né il fritto di paranza: indifendibili dagli attacchi di Elisa che aveva preso solo prosciutto e melone.
Cominciava a dargli sui nervi. La sospettò anoressica. O bulimica? Insomma non era normale.
Il giorno dopo, l’ultimo, la sfinì con mare e sesso. Ma, a cena, solo lui era esausto e famelico. Questa volta ordinò una zuppa di pesce per due. Elisa tentò di opporsi. Di fronte al suo piatto cincischiò, nicchiò, frugò. Poi si avventò come uno squalo.


















RACCONTO NUMERO 12

TANIA LA DEA DELLE STRONZE.


All'alba di una mattina d'estate: sulla spiaggia i granelli di sabbia
sono ancora addormentati sotto il lenzuolo della rugiada. Matteo
intravede un corpo esile di una fanciulla dalla chioma corvina. La
moglie di Matteo osserva i suoi occhi rapiti dalla figura della
fanciulla ed afferma: "E' una donna come le altre." Matteo distoglie lo
sguardo da lei e, con imbarazzo, annuisce. Matteo, e la sua famiglia,
si ritrovano vicini di ombrellone. Un'intera giornata trascorsa sulla
spiaggia: Matteo e la fanciulla di nome Tania, ballerina del Bolshoi,
si scambiano sguardi pregni di passione. Il giorno dopo Matteo si
ritrova al bar da solo con Tania. In un inglese striminzito bisbiglia:
"Cosa mi succede? Non posso essermi innamorato di te in un solo
giorno." La fanciulla dalla chioma corvina sorride: "E' possibile,
statisticamente non lo è." Matteo la guarda con stupore e replica: "Ma
sono sposato ed ho una figlia." Tania ride a crepapelle: "Io, invece
sono soltanto fidanzata e, non per questo, passerei con te l'intera mia
esistenza." Matteo è imbarazzato: "Dici sul serio?". Tania risponde di
si. Alcuni minuti dopo i due si ritrovano nella camera dell'albergo,
che ospita la spiaggia, a fare l'amore: è meraviglioso come lo
sbocciare in un fiore. La sera Matteo non riesce a dormire. Il giorno
dopo Tania deve partire. Un fiume di sms di Tania decretano un amore
eterno: il suo giuramento è di ritornare la settimana prossima.L'anima
di Matteo è lacerata: dovrà divorziare da sua moglie e lasciare la sua
bambina, l'unica figlia. E' deciso in quanto ha percepito, con Tania,
un sentimento purissimo come l'acqua di una fonte di alta montagna. Lo
spiega a sua moglie che piange senza replicare. La settimana trascorre
ma, un insopportabile silenzio avvinghia i giorni di Matteo. Tania non
risponde neanche al telefono. Dopo due mesi un breve sms di Tania: è
stato bello fare l'amore con te e null'altro! Matteo immediatamente
risponde: " Ma l'eterno amore?" La fanciulla dalla chioma corvina invia
il suo ultimo sms: "L'amore eterno non esiste e mai esisterà." Matteo è
stordito da quella frase ed invia un sms: "Sei una stronza, anzi sei la
dea delle stronze."













RACCONTO NUMERO 13

«…Tu sarai la mia principessa…».
Nel pronunciare quelle parole le sue labbra, di uomo che non deve chiedere mai, si erano mosse come quelle di un attore malamente doppiato.
Lo spirito dello scapolo incallito tentava di resistere alla drastica capitolazione dell’essere umano logorato della gastrite, causata da troppi “quattro salti in padella”.
Aveva appena fumato una sigaretta.
Abbassai gli occhi per celare la delusione. L’alito del principe azzurro, quando si dichiara alla sua amata, dovrebbe profumare di violette e di tigli. Almeno è ciò che pensavamo da bambine Alice – la mia migliore amica – ed io. Lei ha divorziato per la seconda volta e l’ultimo ex marito la tradiva con il giardiniere.
«…Vivremo felici e contenti…» aggiunse stringendomi a sé.
Davanti ai miei occhi passò una sequenza di immagini degne di un film dell’horror.
Se quella era la mia favola volevo venirne fuori il più in fretta possibile. Ero disposta a rifugiarmi anche nella casetta di paglia del porcellino più stupido!
Indietreggiai finché la mia schiena incontrò la fiancata del suo bolide, a due posti proprio come l’agognato destriero, ma di colore rosso e avido di benzina invece che bianco e ghiotto di carrube.
Perché dovrei desiderare di diventare la tua principessa?
Per indossare abiti scomodi, portare un diadema – che già soffro di emicrania – e annoiarmi tutto il giorno!
No, non sono nata per entrare in una scomodissima scarpetta n. 35; non intendo aspettare l’indolenza di un principe svampito che mi resusciti con un bacio e nemmeno terrò i capelli lunghi fino ai piedi – in un luogo dove non esiste il balsamo – perché li usi come ascensore, si costruisca una scala se tanto ci tiene a raggiungermi!
Figuriamoci se sono disposta a dormire su di un pisello, io i piselli li mangio con i fusilli e la panna!




















RACCONTO 14



DRITTO E ROVESCIO

Da mezzo secolo si incontravano per la seduta settimanale di maglia con confidenze, pettegolezzi, risate.
«Mio marito mi tradisce» lasciò cadere Anna strattonando il gomitolo. Rosa e Lena si consultarono con un’occhiata.
«Con chi?».
«Con una scema di commessa! Fosse almeno bella. Voglio vederla alla mia età» si consolò Anna.
«Te l’ha detto lui?» chiese Lena.
Anna appoggiò il lavoro in grembo e annunciò che il marito si era trasferito a casa dell’amante. «Almeno fosse morto!» sospirò. Le altre due annuirono convinte. Se lui fosse morto Anna avrebbe incassato la sua pensione, così invece…
«Sai dove si trova ora?» indagò Rosa.
«Oh sì! E’ andato con la sua bella in un rifugio in montagna. Un posto raggiungibile solo a piedi dopo ore di marcia. Vuole fare il giovanotto lui!» concluse Anna e sfilò i punti per disfare un pezzo sbagliato.
Nel silenzio scandito dal ticchettio dei ferri da calza un progetto prese forma.

«Ho ucciso mio marito e l’ho sepolto in giardino» dichiarò Anna in tono atono. Il poliziotto sbigottito cominciò con le domande di prassi, ma ottenne sempre la stessa risposta.
Il giardino fu rivoltato fino all’ultima zolla, ma non fu trovato nessun cadavere.
Il marito tornò dalla vacanza e in molti lo videro. Povera donna, il trauma dell’abbandono l’aveva fatta uscire di senno. La polizia archiviò il caso.
Un pomeriggio il marito tornò a casa a prendere le ultime cose. Anna gli offrì una tazza di tè.
Il giorno dopo l’amante denunciò la scomparsa dell’uomo. La moglie fu convocata.
«Oh sì, abbiamo bevuto il tè e poi l’ho sepolto in giardino» disse infinite volte ai poliziotti esausti. «Perché non andate a scavare?».

«Ragazze, abbiamo fatto un ottimo lavoro» disse Anna piegando la sciarpa appena finita. Le altre annuirono. Non si riferiva alla maglia.













RACCONTO 15

Bene molto bene benissimo.
Menomale che mi ha lasciato lui almeno non ho dovuto lasciarlo io, poverino, se ne era accorto anche da solo che oramai non ce n’era più.
Adesso mi sento libera, ho un sacco di tempo per me, prima e metti in ordine, e sii sexy, e stira il vestitino, basta, ora è tutto diverso, tipo ho i piatti nel lavandino e chi se ne frega.
Tipo ho i peli sulle gambe e chi se ne frega.
Tipo non ho neanche voglia di lavarmi e nessuno se ne frega, tipo.
Libera di fare quello che voglio, che non faccio ma solo perché non voglio, mi va di uscire ed esco e mi va di andare col primo che capita e ci vado, poi che c’entra, le mie amiche sono tutte col fidanzato, e se penso che loro saranno là a cena nel solito posto fuori mano però economico ma tutte in tiro lo stesso come le compatisco.
Che pena che mi fanno, incastrate solo per non avere il coraggio di lasciarli, quegli inutili.
Solo per non avere il coraggio di farsi lasciare, come me, che adesso mi vesto ed esco e per caso passo davanti casa sua, ma solo perché è di strada, ho un orgoglio, io, guardo se le luci sono accese, se la macchina c’è.
E se lo incontro per caso che esce?
Non esiste che mi faccio vedere conciata così che poi magari pensa, l’illuso, che io stia chiusa in casa a serate a soffrire per lui, meglio se prima tolgo questi peli dalle gambe, magari do anche una stirata al vestitino, così vede quanto sto bene, se c’è.
E se non c’è?
Dov’è, se non c’è?
Con chi è?
Sarà mica il caso di chiamarlo, prima?
Lo chiamo a casa e se risponde butto giù.
Il dramma è se non risponde.
Se non risponde o non c’è o peggio.
E per peggio intendo molto peggio.
E per molto peggio intendo che ora vado là e l’ammazzo senza neanche depilarmi, non ci posso pensare.
No, dio, che dico, senza depilarmi è troppo, che poi magari è solo.
Già.
















RACCONTO 16


Ore 03.00 “Non sono sparito”. Persi le sue tracce a Giugno quando gli dissi “Ti amo” e Lui reagì tossendo come colto da shock anafilattico; a Settembre avevo dispiegato la s.w.a.t. “E’ solo che non ti amo più”. Ma dai! Per Lui romanticismo era regalarmi fiori il Due Novembre (perché il giorno dei morti costano meno). “Sono cambiato ma sei stata un ottimo investimento di tempo”. Mi sentii un materasso in una televendita squallida e l’unico investimento che mi veniva in mente era il suo sotto un tir. Ero transitoria come ciò che si fa per tappare i buchi della noia: ero il suo Bostik. “Ora c’è Lei, che piace pure a mia madre”. Mia madre?! Ho sempre pensato fosse orfano, non mi ha parlato mai di lei. Quando confidai a mio padre il timore d’esser un po’ ALCE lui andò in cantina e lustrato il fucile disse “Torno subito”. Non so cosa fece, ma il giorno dopo Lui mi regalò un mazzo di fiori..e non era Novembre. “Grazie. Mi hai fatto capire cosa conta nella vita. Sarai uno dei miei ricordi più cari”. Forse un po’ di bene me ne voleva, ma di quel tipo pietoso che si rivolge a chi sta da schifo e che io avevo travisato; questo è il prezzo che paghi quando non hai amato o non sei stato ricambiato: ti accontenti di ciò che in realtà nessuno ti ha mai dato. Quando realizzai che la scoreggia detta Amore se ne era andata dal mio cervello, gli risposi cordialmente: “Volevi rassicurarmi che tu fossi ancora vivo?! Mah, avrei preferito continuare nel dubbio a pensare al modo in cui eri morto, piuttosto che avere il bisogno di ideare i modi più truci per uccidere te e quella donnaccia con cui mi hai tradita! Quando le cose ti andranno davvero male.. pensami, perché con tutte le maledizioni che ti sto mandando è impossibile che non ti capiti qualcosa!”.
Ore 03.06 Avevo ricominciato a vivere.

























RACCONTO 17

- Mi ami?
- Ti amo.
- Non è vero.
- Sì che è vero.
Il copione è sempre lo stesso, il consueto dopo scopata, messo in scena da mio marito con ostinata petulanza per rendere, se possibile, ancora più insipida la portata di sesso coniugale appena consumata.
In frangenti simili, alcuni si trastullano con test di gradimento amatorio a risposta chiusa, magari rifiatano con una sigaretta, oppure si rivestono in fretta per redimersi, con intempestiva pudicizia, dei funambolismi geometrici da cui si sono fatti gaiamente tentare, molti addirittura si addormentano.
A me invece, tocca sempre il solito emetico.
Mio marito non fuma, non beve, non mangia carni rosse e se non evacua tutti i giorni si agita. Fa jogging appena ha un’ora libera e un check-up ogni mese.
È un salutista militante lui.
Ogni sera, spalanca la finestra e fa cambiare l’aria della stanza un quarto d’ora prima di mettersi a letto, cosa che avviene sempre alle ventidue in punto.
Pazienza se fuori ci sono dodici gradi sotto zero o sciami voraci di zanzare.
Facciamo l’amore con frequenza quindicinale. Amore, per carità. Sarebbe meglio definirla ginnastica aerobica da letto. Un breve riscaldamento, un coito senza pathos come una partita a porte chiuse e oplà, alle docce.
Ragioniere di professione e atleta per mania, mio marito anziché rianimare un desiderio prevedibile, si limita a sincronizzare il respiro al moto cadenzato del suo attrezzo ginnico da camera.
Dopodichè mi tocca l’usuale filastrocca melensa; anzi, toccava.
Stasera, infatti, la performance maritale s’è interrotta di colpo, preceduta da un rantolo stridulo di meccanismo grippato. Poi s’è accasciato sul fianco, ed è rimasto rigido e muto.
Chissà, ho pensato, magari è il cuore. Forse avrebbe dovuto allenarlo di più. Beh, buona notte.


















RACCONTO 18

La prossima volta che mi innamoro di te, lo prometto, sarò come mi vuoi.
Cercherò di essere presente ogni giorno, di farti sentire che ti amo nelle piccole cose e non solo nei giorni importanti.
La prossima volta, non ti tradirò, né con la testa né con il corpo. Ti sarò vicino nei momenti belli senza invidia e Ti farò sentire il mio sostegno in ogni momento buio.
La prossima volta, mi sforzerò di capire i tuoi motivi e chiuderò in una scatola il mio io quando sgomita per farsi spazio.
La prossima volta che mi innamoro di te, lo farò senza freno. Facendo scorrere ogni sentimento, aprendo il cuore e l’animo senza timore di essere giudicato o raggirato.
La prossima volta sarò solamente tuo, del tuo desiderio, del tuo amore, sarò complice, amico e amante e non scruterò l’orizzonte alla ricerca di emozioni diverse in altre isole. Sarò individuo e coppia, insieme a te.
La prossima volta troverò la forza per legare la mia libertà a te ogni giorno senza rimpiangere i miei desideri mai avverati.
La prossima volta avrò i miei spazi senza escluderti e non ti farò sentire che potresti perdermi. Non costruirò edifici di bugie per raccontarti quello che vuoi sentirti dire, ma meriterò la tua fiducia e la gelosia non sarà il colore della nostra coppia.
La prossima volta ti lascerò libera di avere amicizie senza chiederti conto, leggendo nei tuoi occhi ogni sera, quando torni da me, che io sarò ancora il tuo Unico.
La prossima volta che mi innamoro di te, sarò come mi vuoi tu. Sì, te lo prometto, ne sono convinto, la prossima volta che mi innamoro, non lo farò.

























RACCONTO 19

Eccolo. Nonostante la sua politica di preferire donne non troppo belle e appariscenti, avrebbe abboccato all’amo in un battito di ciglia. Sarebbe stato ancora più stuzzicante se Ida avesse accettato di presentarci, ma la poverina, ancora illusa di un amore inesistente, temeva che non cadesse nella trappola.
Controllo alla vetrina, dunque, tacchi a spillo, mini, e top bianco. Calze no, fa proprio troppo caldo. Questo tessuto leggero ed aderente è proprio perfetto per valorizzare senza mostrare troppo. Le armi sono cariche. Via all'attacco.
Entro nel locale, mi siedo con disinvoltura agli sgabelli del bancone e mi guardo intorno. Eccolo che mi punta. Ancora più veloce di quanto immaginassi. Chissà che non soffra di questa fretta anche in altri frangenti. Sguardo indifferente, se lo guardo rovino tutto con una risata. Ecco che si avvicina.
"Sola?" Ah che esordio banale. Come può essere un play-boy questo qui? Accetto uno dopo l’altro tre aperitivi, spera di ubriacarmi? Povero illuso, non immagina quanto sia ancora lucida. Mi accompagna all’auto. Eh già un parcheggio così buio è troppo pericoloso per una dolce e ingenua ragazza sola. Sciocco. Arrivati all'auto chissà come il grande amatore si rivela un buon baciatore, ma, come sospettavo, ha molta fretta. Soffre d'incontinenza? Lo assecondo per un po', senza carezze esplicite, strusciandomi come per caso. Quasi mostrando di gradire, quasi. Sguardo ingenuo, lieve tremore e mi mostro conquistata. Mi porta a cena nel ristorante più in della città. Ovviamente ordino i piatti più cari. E’ già cotto. Di nuovo nel parcheggio, stavolta con pubblico dato che ho chiamato Ida. Di nuovo a pomiciare appoggiati alla portiera. Appena prova un approccio vero, lo lascio lì e lo saluta Ida. Uno spettacolo la sua faccia. Ricevi ciò che dai.

























RACCONTO 20

“Così non si può continuare. Sono stanco di fingere di essere una persona che non sono. Da quando stiamo insieme mi sono dimenticato tutto quello che mi piaceva fare, mi sono dimenticato cosa vuol dire ridere di gusto, ho messo da parte tutti i miei progetti per te. E tu non te ne rendi conto, per te non è mai abbastanza.
Ma adesso basta, sai, sono stanco. Troverò un'altra donna, che mi ascolti e si interessi a ciò che desidero. Bella... non che tu non lo sia: dal primo momento che ti ho vista non sono riuscito a staccarti gli occhi di dosso... ma che dico! Sto divagando. Dicevo che troverò un'altra, una donna diversa da te, paziente, che rida delle mie battute.
Non voglio più stare con una persona che ridicolizza tutto di me e non fa che ripetere quanto sono infantile. Perché non mi hai lasciato se sono tanto infantile?! In questi anni sono stato il tuo cagnolino. Ora è finita. E non piangere, tanto non mi commuovo. Quando una cosa è finita, è finita, non c'è niente che si possa fare per... “
Gesticolavo allo specchio, da solo, quando ho sentito la porta di casa aprirsi. Sei tornata, questa volta sono deciso a parlarti, sono stanco di vivere nella tua ombra cara mia!
Lei sulla porta. Non so più se posso farcela. Il mio cervello segna '0'.
“Passerotto, ti aspettavo”
“Bene! Lo sai che...” Ottimo. Il coraggio di un leone, proprio. Ora parlerà tutta la sera, anche durante i suoi programmi preferiti alla tv, spegnerà sui miei. Perché non le ho detto niente?! Oh, sono proprio una frana, ha ragione lei. E forse non sono poi così convinto, forse è proprio per questo che non l'ho fatto: perché inconsciamente non voglio...
“Amore! Mi stai ascoltando?!”
“Certo tesoro, scusa, pensavo all'inconscio”
“Mai una volta che tu pensassi a me! E questa poi, l'inconscio! Sei il solito scemo...”

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