lunedì 8 agosto 2011

“Intrecci di Rime” di Davide Benincasa


  Recensione di Annamaria Perrotta
                                                                  


Leggendo la silloge “Intrecci di Rime” di Davide Benincasa, mi è parso di cogliere immediatamente alcune sensazioni assolutamente in antitesi: i sussurri del cuore, le tenui dolcezze della natura, i ricordi struggenti, ma anche  una toccante invocazione di sofferenza. Una sorta di ossimoro dei sentimenti. Ma la vita è proprio questo: una serie di pagine da scrivere, ora con tono delicato e introspettivo, ora con la voglia di graffiare il mondo, per esprimere tutta la propria estraneità verso  certe dinamiche stagnanti e prive di autenticità. Davide sembra voler combattere l'immobilismo che conduce all'accettazione passiva di compromessi e ipocrisie: lui vola alto con la sua poesia, alla ricerca di una dimensione in cui liberare se stesso e trovare nuovi orizzonti.  Belle le immagini evocate da Davide: fanno sentire sulla pelle tutta la difficoltà che oggi ha l'uomo di calarsi in una realtà che non riesce a cogliere i mutamenti del cuore, e nei confronti della quale si avverte una progressiva estraneità.  Ma Davide, lungi dal cadere nella trappola dell'essere avulso, affronta il reale, ora con dolore profondo, ora con il dolce fluire delle rimembranze.
Elegante. Sì, la poesia di questo autore presenta un uso eccellente della metrica: si passa dai gloriosi endecasillabi, al sonetto caudato, fino al leggendario esametro.
Davide poteva facilmente cavalcare l'onda del verso libero, ma ha preferito la sfida della  “costrizione”, della regola, per esprimere emozioni e ricordi. Ha preferito scolpire forme con grande cura, dando corpo all'invisibile, con la maestria dell'artista che forgia emozioni, con precisione e disciplina.   E il ritmo diventa musica tra metafore , enjambement e traslati e riporta il lettore verso epoche lontane, in cui la poesia parlava di antiche contese, desiderio di solitudine, per ascoltare i sussurri dell'anima, voglia di confondersi nelle infinite suggestioni della natura.
Molto belli sono i versi dedicati alle stagioni; le immagini diventano tangibili e ci pare di intravedere ora i boccioli di fiori, accarezzati dal dolce vento, ora gli arcobaleni che sorridono alle tempeste del corpo e dell'anima e i distici, in chiusura, sono note musicali che parlano al cuore... “la falce aspra di un contadino, intento a mietere le spighe d'oro, e il riso allegro di un bambino, che giunge all'anima sonoro.”
Ed ecco che l'autore ci dimostra quanto la poesia sia eterna e mutevole nello stesso tempo, in quanto si nota una perfetta affinità tra tradizione e innovazione: sono corde di una cetra, grande protagonista della poesia nel suo cammino nella storia, che vengono mosse da sapienti dita, che obbediscono ai moti del cuore. Così la melodia che ne scaturisce parla ancora all'uomo e gli fa presagire la possibilità di poter  percepire ciò che è invisibile ed eterno... “Vago, solingo, in un altro universo, alla ricerca di un lido migliore, ove cullare mi lascio;disperso: un giardino dove cogliere un fiore...” .


       
   Recensione di Vito Rizzo                           

Non tragga in inganno l’esiguità del volume, di certo “Intrecci di Rime”, raccolta poetica di Davide Benincasa non è un’opera che può essere letta tutta d’un fiato.
Cadere in quest’errore, infatti, può portare il lettore presuntuosamente frettoloso ad uscirne confuso e stordito da un cocktail di versi, troppo diversi per rappresentare un tutt’uno.
“Intrecci di rime” è una raccolta che non va bevuta ma sorseggiata, non godere di ogni singolo assaggio porterebbe a non cogliere, infatti, il senso profondo dei cambi di metrica e di stile che l’autore utilizza per le sue poesie.
Soltanto in questo modo, come un avveduto sommelier, il lettore può assaporare l’unicità di ciascun componimento, carpendone appieno le sfumature.
Proprio la bravura dell’autore nell’utilizzare tecniche ritmiche differenti rischia infatti di spiazzare il lettore più distratto che, ramingo nel cercare tra una poesia e l’altra un’univocità di stile, rischia di non cogliere appieno il valore poetico della scelta attenta e ponderata di ciascun vocabolo, incastonato nella poesia con il profondo valore delle più autentiche accezioni semantiche.
Le modulazioni ritmiche, inoltre, piuttosto che un mero esercizio stilistico, sono funzionali ciascuna ai contenuti dei diversi componimenti, molto vari e distanti per gli stessi temi trattati.
Ecco che allora sfogliare le pagine del libro è propedeutico alla raccolta, intesa questa volta non come silloge ma come messe di emozioni e di poesia che ciascun componimento, da sé, nella sua unicità è in grado di donare. 




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