sabato 30 maggio 2015

Inno alla Vita


“È solo per un eccesso di vanità ridicola che gli uomini si attribuiscono un’anima di specie diversa da quella degli animali.”
(Voltaire)

Una lettera di Rosario Tedesco indirizzata a un’amica passata a nuova Vita, ma anche a tutti noi. Per meglio comprendere l’essenza di ciò che è importante, al di là del “rumore” delle apparenze.


Mia Cara Vecchia Amica,
più d'uno m'aveva detto che avevamo gli stessi occhi, addirittura lo stesso sguardo, e che nessun caso sembrava avvalorasse in maniera così esplicita ed evidente la tesi che taluni cani sono simili ai loro padroni quanto il nostro.
Un vecchio amico diceva che "ci sono cani che non sono cani", che sono talmente intelligenti ed empatici nei loro atteggiamenti da giungere a sconcertarci al punto tale da instillare in noi la convinzione che un cane possa essere più evoluto di un essere umano.
Ricordo bene tutte le volte in cui in cui mi son sentito solo in mezzo alla gente e tu eri lì a far sì che io allontanassi all'istante questa sensazione soltanto limitandoti a stare lì dove stavi, ad essere semplicemente quella che eri, a stare lì per me e per nessun altro.
Che fossi più di un cane né ho avuto la prova tutte le volte che sei riuscita a leggere nei miei pensieri ed io nei tuoi.
Il tuo sguardo è stato sempre stato oltremodo eloquente ai miei occhi, almeno quanto lo fosse il mio ai tuoi, ne sono sicuro.
Ed il fatto che io avessi instaurato con te un feeling che solo raramente mi è accaduto di instaurare con un altro essere umano è solo uno dei miracoli ai quali ho avuto il privilegio di assistere nel lungo tratto di vita che abbiamo percorso insieme restando fianco a fianco.
Fin dalla prima volta che mi hanno parlato di te ti avevano descritta come uno spirito libero, così libero da riuscire a fuggire, non si sapeva bene come, da tutti i luoghi nei quali avevano provato a rinchiuderti in attesa che qualcuno decidesse di adottarti.
Qualcuno mi implorò di prenderti con me come tentativo estremo di trovarti un padrone ed una casa dalla quale non saresti fuggita.
Io non me lo feci dire due volte tanto mi eri stata quasi d'istinto simpatica per quanto mi avevano raccontato sul tuo conto.
In un certo senso è stato così, in quanto non appena varcasti la soglia di casa mia la sentisti, non si sa bene perché, immediatamente familiare e prendesti posto con assoluta naturalezza su quella poltrona che è stato il primo giaciglio dove trascorrevi gran parte del giorno e della notte nella prima delle dimore che ci ha ospitati entrambi, quasi come se l'istinto (canino) e l'intuito (umano) ti avessero suggerito che avevi finalmente trovato un luogo nel quale potevi anche fermarti per un po' di tempo, fino a quando naturalmente la tua sete di libertà e di indipendenza non ti avesse nuovamente indotto a fuggire ed a vagare alla ricerca di chissà cosa e di chissà chi.
Conoscendoti, v'è la possibilità che tu mi abbia squadrato e studiato per bene da capo a piedi dal momento in cui ti hanno condotto da me, intuendo che ero diverso da quelli che avevano tentato di chiuderti in un recinto fino a quel giorno e che di me ti potevi fidare.
Non dimenticherò mai la prima volta che ho notato i tuoi occhi dritti a fissare i miei, probabilmente intenti a cercare ulteriori conferme a quanto avevi avvalorato, che mi sconcertavano nella misura nella quale quasi mi imbarazzavano per la loro umana, fin troppo umana consapevolezza: mi stregasti, lo ammetto, ed in quell'istante capii che niente e nessuno avrebbe potuto mai più separarci.
Ricordo che avevi un istinto infallibile nel valutare le persone anche con un solo sguardo e, date le tante nostre affinità, non credo ci avrai messo molto a capire che ero il simile più prossimo a te nel mondo degli umani che avresti potuto incontrare, e mi hai scelto.
Si, perché sei stata tua a scegliere me, e non certo io a scegliere te.
La prova è stata il fatto che quando hai scelto di allontanarti da me per far ritorno sulle strade sulle quali ritrovavi la libertà che costantemente ti (ri)chiamava (a sé), puntualmente prima o poi facevi ritorno da me, per ritrovare quel porto sicuro dove poterti sentire protetta ed amata da colui che forse più di tutti poteva comprendere quella tua necessità di fuga senza fartela in alcun modo pesare  giammai punirti a riguardo, in quanto simile a te anche e soprattutto nell'assecondare questa improrogabile urgenza quando il tempo di farlo fosse giunto, al di là di tutti ed a costo di tutti, anche a costo di ritrovarsi nuovamente da soli e senza più niente, già.
Alla fine il fatto che tu ti limitassi semplicemente ad avvicinarti alla porta di casa e con uno sguardo mi facevi capire che avevi bisogno di andare, o anche solo semplicemente di uscire per sgranchirti le gambe o espletare i tuoi bisogni corporali, era divenuta una consuetudine del tutto naturale, così come il fatto che bussavi con la zampa al tuo ritorno perchè io ti aprissi e ti riaccogliessi con me.
Sono state rarissime le volte i cui un orecchio umano ti ha sentita abbaiare nel senso più vero e canonico del termine.
Per lo più ti esprimevi emettendo una sorta di guaito tendente al lamento e talvolta al pianto, udendo il quale davvero si aveva la sensazione che tentavi di biascicare delle parole, essendo al tempo stesso rammaricata di non poterlo fare vista la tua natura di cane.
Se di taluni cani si dice che gli manca soltanto la parola, tu sei stato in assoluto quello che più di tutti mi ha dato letteralmente la sensazione che ciò potesse avere un fondamento palpabile, udibile direi, e non fosse solo un comune dire che lascia il tempo che trova.
Per quanto, comunque, tu abbia ceduto alla tua natura di cane abbaiando di tanto in tanto, mai lo hai fatto in quanto dovevi avvisarmi di un qualche pericolo, quanto mai certa che non fosse quello il compito che dovevi svolgere al mio fianco, ed, imperturbabile, come se niente fosse, ti barricavi nella certezza che tanto ci avrebbero pensato gli altri miei cani a farlo anche per te, mia simile, sorella!
Se è vero, come lessi una volta, che nel processo evolutivo delle anime il cane è l'ultima specie del mondo animale nel quale uno spirito si incarna prima di passare allo stadio umano, e che se è stabilito che debba affiancare l'uomo e in quanto deve poterlo osservare da vicino così da assimilarne il carattere, le abitudini e le peculiarità proprie della nostra specie, ed essere già preparato a quello che gli aspetta nel momento in cui poi rinascerà, tu sei il cane che più di ogni altro ha fatto sì io avvalorassi questa tesi e la ritenessi plausibile, tanto dall'aver attribuito il tuo rifiuto ad abbaiare come il segnale per eccellenza del fatto che eri già pronta per varcare la soglia e che la condizione di cane, nonostante tu fossi ancora tale, già cominciava a starti stretta, diciamocelo.
A ciò va aggiunto che quando commettevo l'imprudenza - che tu giudicavi come una impertinenza - di lasciarti insieme agli alti cani, non appena te ne ravvedevi e non mi scorgevi più nei paraggi, venivi immediatamente a cercarmi rimproverandomi di essere stato così incauto nel farlo con leggerezza e di avere rivolto questo affronto a te che così tante dimostrazioni mi avevi dato non solo che non eri solo un cane, ma che non volevi avere nulla a che fare con i cani, e ritrovando la pace solo quando ti riaccoglievo al mio fianco o ti lasciavo nuovamente da sola, che dal tuo punto di vista credevo fosse suppergiù la stessa cosa, mia simile, azzarderei gemella!
Quanto al ruolo che hai avuto in questi diciotto anni nei quali mi sei stata accanto ne ho avuto quanto mai una netta percezione proprio nel mio ultimissimo scorcio di vita, quando l'urgenza di assisterti passo passo nel tuo travaglio a decorso fatale è stata più forte di ogni altro richiamo a cui mi si chiedeva ragionevolmente di prestare ascolto, a costo di perdere - come di fatto poi è accaduto - tutto quello che avevo costruito fino a quel momento - chi sa capirà - pur di non lasciare che tu giungessi da sola senza di me alla tua ultima ora.
Se è vero, come sono sempre più propenso a credere, citando a memoria Benigni, che per ognuno di noi uno è il cammino da percorrere, una la vocazione, una la missione, uno l'amore, uno l'amico, sono sicuro che uno è anche l'amico a quattro zampe che ci è stato assegnato in dono dal destino - o da chi o cosa per lui - perché noi possiamo divenire compiutamente noi stessi e giungere alla Meta.
Tu eri l'amica a quattro zampe per eccellenza, quella che si incontra una sola volta nella vita e ti resta fedele anche oltre la vita.
Hai combattuto la tua ultima battaglia a testa alta e con dignità, nonostante tutto cospirava perché ti lasciassi definitivamente andare.
Hai continuato a lottare nonostante tutto non tanto perché ci credevi, ma perché hai capito che io speravo lo facessi, già.
Mi guardavi quasi a dire: "Allora? Ti sei convinto finalmente che è finita e che non c'è più niente da fare per me, o devo ancora continuare, ora che sono quasi cieca e sorda del tutto, quasi semi-paralizzata da una artrosi progressiva che mi procura dei dolori lancinanti agli arti posteriori, a barcollare ed a barcamenarmi in questa che è una non-vita solo per farti contento?"
A dire il vero, tendente alla depressione lo sei stata sempre, non solo in quanto mia copia speculare nel mondo canino, ma in quanto essere pensante - questa la lascio davvero a chi può intenderla - ma mai ti avevo veduta così per nulla rassegnata e quasi indignata nel trascinarti in un esistenza che non ti si confaceva e che accettavi solo perché non avevi altra scelta, mia simile, sorella, gemella!
Te ne sei andata via senza cedere d'un palmo a quella dignità, quella fierezza e quell'eleganza che ti ha contraddistinto da sempre e che faceva sì tu fossi stato il più aristocratico e snob tra i cani che io ho avuto modo di incontrare in questa vita.
Tra tutti gli esempi, riporto quello relativo al momento in cui ti mettevo davanti il cibo, ed al tuo rituale attendere che io mi allontanassi per acconsentire non tanto a mangiare, quello veniva molto dopo, ma ad odorare e scrutare attentamente il pasto per essere sicuro che fosse stato di tuo gradimento ed evitare poi di avere spiacevoli sorprese nel momento in cui lo avresti assaggiato e poi ingurgitato.
Neppure la consapevolezza di essere a un passo dalla fine, ha fatto sì che tu abdicassi alla tua proverbiale diffidenza così affine alla mia e che, tra tutte le caratteristiche che ci accomunavano, era la nota che più di ogni altra ci rendeva complici oltre che simili.
Sapevo che tentando di alleviare le tue pene avrei rischiato di accelerare la tua fine, e probabilmente così è stato.
Ma se ho agito così comunque è perché se solo avessi potuto parlarmi sono sicuro che mi avresti implorato di farlo.
Come, del resto, avrei fatto anch'io trovandomi nelle tue medesime condizioni: solo chi mi conosce bene sa quanto io poco sopporti il dolore e che son pronto a ricorrere ad ogni mezzo pur di farmelo passare, anche a rischio di prendermi altri malanni addizionali.
Ma, nonostante tale consapevolezza, ti chiedo ugualmente perdono, sperando che alla prossima occasione che Dio - o chi per lui - mi darà di condividere un pezzo della mia prossima vita con te, magari ritrovandoti questa volta in una forma umana, mi rammenti dell'errore commesso e ne faccia tesoro per non ricommetterlo nuovamente, come la Legge Divina Universale ha stabilito.
A presto
Tuo


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