lunedì 24 luglio 2017

"Delle rose e di altri inverni": Antonia Pozzi, l'articolo di Eufemia Griffo



Ecco l'articolo di Eufemia Griffo dedicato alla poetessa Antonia Pozzi. Ne trovate una sintesi sul Segnalibro del mese di maggio (qui il post dedicato). 
In fondo all'articolo trovate l'immagine della colonna dedicata nel Segnalibro.

L'eco cupa del tonfo
Ricordando Antonia Pozzi

Il 13 Febbraio si celebra l'anniversario della nascita di Antonia Pozzi, poetessa milanese morta suicida a soli ventisei anni. La data che segna la fine della sua esistenza è il 3 dicembre 1938. La neve ricopre il manto erboso attorno all'abbazia di Chiaravalle e attutisce ogni rumore; l'eco del suo tonfo le dona pace, anelata da tempo. La sua bicicletta si ferma per l'ultima volta costeggiando i campi dell'abbazia di Chiaravalle: questa sarà la sua ultima fermata.

Suonano i passi come morte cose
scagliate dentro un'acqua tranquilla
che in tremulo affanno rifletta
da riva a riva
l'eco cupa del tonfo”.



Parlare di Antonia Pozzi è un percorso emozionale che le parole celebrano per restituire alla grande e indimenticabile poetessa milanese, quella fama che in vita non raggiunse. D'altra parte sceglie di togliersi la vita giovanissima, incapace di vivere in un mondo che non le apparteneva e che non riconosceva essere suo.

Sì, bello morire,
quando la nostra giovinezza arranca
su per la roccia, a conquistare l'alto.
Bello cadere, quando nervi e carne,
pazzi di forza, voglion farsi anima;
quando, dal fondo d'una fenditura,
il cielo terso pare un'imparziale
mano che benedica e i picchi, intorno,
quasi obbedienti a una consegna arcana,
vegliano irrigiditi.

La morte è come una liberazione per Antonia, è quel momento che segna il distacco tra quei fili che in vita l'hanno tenuta tanto stretta fino a soffocarla, e quel vuoto al quale lei si affida ora con consapevolezza.

Un passo indietro

Facciamo un passo indietro e parliamo di Antonia Pozzi, ovvero della semplice ragazza che è stata, del suo amore per il suo professore di lettere del liceo, delle sue amate montagne e delle sue poesie così intense e uniche nel genere.
Bionda, minuta e delicata, Antonia è una bella bambina, come la ritraggono molte fotografie; accanto a lei ci sono suo padre, l’avvocato Roberto Pozzi, originario di Laveno, e la contessa Lina, figlia del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana e di Maria Gramignola, proprietari di una vasta tenuta terriera, detta La Zelata, a Bereguardo. Nelle fotografie i suoi genitori la guardano sempre con amore e dedizione. Suo nonno Antonio è una persona coltissima nonché un noto storico amante dell’arte e versato nel disegno e nell'acquerello. La nonna, Maria, che Antonia chiama “Nena” è una donna sensibilissima ed è la figlia di Elisa Grossi, a sua volta figlia del più famoso Tommaso. Con Nena, Antonia avrà fin da bambina un rapporto di tenerissimo affetto.
Passano gli anni e nel 1922 Antonia si iscrive giovanissima al liceo- ginnasio Manzoni di Milano da dove, nel 1930, esce diplomata per avventurarsi negli studi universitari, alla Statale di Milano. Gli anni del liceo segnano per sempre la vita di Antonia. Tra i banchi di scuola, la Pozzi si innamora perdutamente del suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, che per primo le mostra la bellezza celata tra le parole e la vita che scorre tra le righe di una penna.
Antonia inizia con Cervi una relazione che definisce in una lettera all'adorata nonna Nena come «una gran fiamma dietro una grata di nervi, un'anima purissima anelante.» Cervi non è certamente un uomo attraente dal punto di vista meramente fisico, ma ha un'immensa cultura classica e questo è un elemento sufficiente per sedurre il cuore e l'anima di Antonia Pozzi.
La giovanissima allieva non fatica a scoprire che dietro l’ardore e la serietà, nonché la severità del docente, si celano molte affinità tra loro, come l'amore per il bello, l'arte, la cultura, la poesia e il sapere in generale.
Il fascino si tramuta in un amore intenso e allo stesso tempo tragico: Antonia non ha fatto i conti con suo padre che osteggia in maniera ferma e fin dall'inizio la relazione col professore Cervi che viene quindi trasferito a Roma. In realtà questo amore resterà incancellabile dalla sua anima anche quando, forse per colmare il terribile vuoto, si illuderà di altri amori, di altri progetti, nella sua breve e tormentata vita.
L'avvocato Pozzi, di tendenze filo-fascista, non vede di buon occhio il legame tra sua figlia e il docente a cui Antonia inizia a dedicare tante liriche, come questa che segue.



L'allodola

Dopo il bacio – dall'ombra degli olmi
sulla strada uscivamo
per ritornare:
sorridevamo al domani
come bimbi tranquilli.
Le nostre mani
congiunte
componevano una tenace
conchiglia
che custodiva
la pace.
Ed io ero piana
quasi tu fossi un santo
che placa la vana
tempesta e cammina sul lago.
Io ero un immenso
cielo d’estate
all'alba
su sconfinate
distese di grano.
E il mio cuore
una trillante allodola
che misurava
la serenità.

La poesia diventa una lirica straordinaria, bellissima e coinvolgente, nonché la sublimazione di un amore impossibile.
A Roma Cervi instaurerà con la sua amata, uno scambio epistolare che si protrarrà fino al 1934.
« Navighiamo a incontrarci» , scrive Antonia in una poesia del 1933 che ha come titolo «Ricongiungimento» .

Se io capissi
quel che vuole dire
− non vederti più −
credo che la mia vita
qui − finirebbe.

Tuttavia essi non si riuniranno mai più e il trasferimento del docente a Roma, segnerà la fine della loro relazione.

All'inizio degli anni trenta, Antonia si iscrive alla facoltà di lettere della Statale di Milano dove frequenta assiduamente le lezioni di filosofia di Antonio Banfi, entrando nella cerchia dei cosiddetti “banfiani”, tra cui spiccano Vittorio Sereni, Giulio Preti, Remo Cantoni, Alberto Mondadori, Enzo Paci e Luciano Anceschi. Si tratta di un ambiente culturalmente vivo e stimolante ma che la Pozzi non sente adatto a lei, donna e poetessa sensibile, al punto che un giorno si sente consigliare da Banfi di passare al romanzo storico e da Paci di «scrivere il meno possibile.» Ma come si fa a non dare voce alla propria anima, quando le parole ti prendono per mano e ti conducono oltre quella realtà che ti circonda?
Il seme del fascismo sta furiosamente germogliando ed è impossibile rimanere chiusi nelle università quando una guerra oramai imminente, sta per iniziare e il regime tesse la sua propaganda, entrando trionfalmente nelle menti e nei cuori degli italiani.
Antonia ricorda le serate al teatro, in compagnia di sua madre, una donna di famiglia aristocratica, colta e intelligente, ma succube del marito.
Le serate alla Scala sono oramai un lontano ricordo, giorni in cui la musica penetrava profondamente nel suo cuore e alla stregua delle sue adorate parole, attraversava i meandri della sua anima. Sono memorie lontane, appartenute a un passato cancellato dal dramma dei giorni che scorrevano sul calendario; si celebra la lussuria della guerra che permea ogni cosa.
Con Dino Antonia, vagabonda nelle periferie milanesi, annotando quella «miseria [che] durerà per sempre» e che le apre un mondo in netto contrasto con il benessere borghese in cui è nata e per il quale si sente in colpa. Antonia ha sempre snobbato i salotti borghesi preferendo a essi, i campi
della pianura lombarda e la natura incontaminata di Pasturo, un paesino della Valsassina frequentato fin dall'infanzia, tra « tra le mie mamme montagne». È tra gli amati monti che la Pozzi si ritira e scrive le sue poesie più belle. La natura è la sua dimora, è il suo rifugio ideale, è assaporare la gioia dell'infanzia e dimenticare i fantasmi che le si agitano dentro, sempre di più. È malinconia di una vita che non ha vissuto come avrebbe voluto, del ricordo di un amore perduto e mai dimenticato.
Nella natura selvaggia, tra rocce e gli amati nevai, a cui dedicherà una lirica struggente, Antonia cerca quell'agognata pace che metta a tacere il suo tormento interiore e faccia da elemento conciliatore tra lei e il mondo.
In Nevai, del 1934, Antonia tenta di pacificare il suo tormento, aprendo un dialogo tra se stessa e il mondo, respirando le sue ferite nell'aria rarefatta delle cime innevate.

Nevai

Io fui nel giorno alto che vive
oltre gli abeti,
io camminai su campi e monti
di luce –
Traversai laghi morti – ed un segreto
canto mi sussurravano le onde
prigioniere –
passai su bianche rive, chiamando
a nome le genziane
sopite –
Io sognai nella neve di un’immensa
città di fiori
sepolta –
io fui sui monti
come un irto fiore –
e guardavo le rocce,
gli alti scogli
per i mari del vento –
e cantavo fra me di una remota
estate, che coi suoi amari
rododendri
m’avvampava nel sangue –



 La montagna è la vita e le parole di Antonia celebrano perfettamente questo suo sentire. Che siano le montagne prossime a Pasturo, come la Grigna, o quella più alta e più lontana delle Dolomiti, si palesa con esse, un forte legame, un attaccamento unico alla terra. Radici forti che diventano umane, come le emozioni di Antonia che le descrive, si fa prendere per mano e condurre da esse, fino alla vetta più alta delle sue amate montagne.
Lo spirito si esalta fino a entrare in una profonda comunione spirituale con la bellezza dei luoghi che la circondano.

Sulla parete strapiombante, ho scorto
una chiazza rossastra ed ho creduto
che fosse sangue: erano licheni
piatti ed innocui. Ma io ne ho tremato.
Eppure, folle lampo di tripudio...
   

Ma è anche una natura che le fa sentire tutta gli umani limiti. Antonia vive con disagio la situazione politica e sociale del suo tempo, il cui clima sempre più cupo sembra influenzare progressivamente anche il suo stato d'animo e il suo sguardo sulla vita. Le parole non possono più salvarla e non colmano il vuoto e la malinconia. È una spaccatura troppo netta tra il mondo là fuori, in cui imperversa la guerra e quello che si agita nel suo cuore.

Preghiera

Signore, tu lo senti
ch’io non ho voce più
per ridire
il tuo canto segreto.
Signore, tu lo vedi
ch’io non ho occhi più
per i tuoi cieli, per le nuvole tue
consolatrici.

Il 15 settembre 1937, pochi mesi prima del suicidio, scrive all'amica Elvira Gandini senza nascondere la sua disillusione, l'incertezza del futuro, la strada in salita, una grande strada bianca. Si sente oramai sdradicata e senza radici:


Ninfee

Anch’io non ho radici
che leghino la mia
vita – alla terra –
anch’io cresco dal fondo
di un lago – colmo
di pianto.

La sua è una corazza vulnerabile che non la protegge più e anzi lascia intravedere la sua disperazione mortale, di cui parlerà nel suo biglietto d'addio, quando il 3 dicembre del 1938 sceglierà di darsi la morte con un flacone di barbiturici.
La neve riveste di bianco la campagna intorno all'abbazia di Chiaravalle. Antonia parcheggia la bicicletta e si siede a pochi metri da una roggia, come in Lombardia chiamano i piccoli corsi d' acqua che attraversano i campi. Ha con sé un barattolo di barbiturici che ingoia con una sola sorsata d'acqua e poi si sdraia sulla neve. La trovano ancora viva, ma muore poche ore dopo, ufficialmente per «polmonite», dirà suo padre, che tenterà a lungo di coprire lo scandalo del suicidio, attribuendo la sua scomparsa a una polmonite ed evitando di far trapelare per molto tempo le sue opere, oggi quasi tutte edite.


Pudore

Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce

Ad Antonia Pozzi, è stato dedicato un film-documentario del 2009,
«Poesia che mi guardi», della regista Marina Spada, impreziosito da immagini d'epoca della poetessa milanese tratte dai filmati di famiglia.

« Triste orto abbandonato l'anima
si cinge di selvagge siepi
di amori:
morire è questo
ricoprirsi di rovi
nati in noi
 
»
(Antonia Pozzi, da Naufraghi, 19 dicembre 1933)
La Pozzi è sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo: il monumento funebre, un Cristo in bronzo, è opera dello scultore Giannino Castiglioni.

Presagio

Esita l'ultima luce
fra le dita congiunte dei pioppi –
l'ombra trema di freddo e d'attesa
dietro di noi
e lenta muove intorno le braccia
per farci più soli –
Cade l'ultima luce
sulle chiome dei tigli –
in cielo le dita dei pioppi
s'inanellano di stelle –
Qualcosa dal cielo discende
verso l'ombra che trema –
qualcosa passa
nella tenebra nostra
come un biancore –
forse qualcosa che ancora
non è –
forse qualcuno che sarà
domani –
forse una creatura
del nostro pianto –

Milano, 15 novembre 1930


Opere di Antonia Pozzi (fonte: Wikipedia)

Tutte le sue opere sono state pubblicate postume. Nelle edizioni più recenti è stata ricostruita la genesi delle sue poesie.

Parole, Milano, Mondadori, 1939, I ed., 91 poesie; 1943, II ed., 157 poesie; 1948, III ed., 159 poesie; 1964, IV ed., 176 poesie, con prefazione di Eugenio Montale.
Flaubert. La formazione letteraria (1830 - 1865), tesi di laurea, con prefazione di Antonio Banfi, Garzanti, 1940.
La vita sognata ed altre poesie inedite, Milano, Scheiwiller, a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, 1986.
Diari, introduzione di O. Dino a cura di O. Dino e A.Cenni, Scheiwiller, 1988.
L'età delle parole è finita. Lettere (1925 - 1938), con prefazione di A. Cenni, Milano, Archinto, 1989.
Parole, con prefazione di Alessandra Cenni, a cura di A. Cenni e O. Dino, Milano, Garzanti, 1989 e 2001.
Pozzi e Sereni. La giovinezza che non trova scampo, a cura di Alessandra Cenni, Milano, Scheiwiller, 1988.
Mentre tu dormi le stagioni passano..., a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, Milano, Viennepierre, 1998.
Poesia, mi confesso con te. Ultime poesie inedite (1929-1933), a cura di Onorina Dino, Viennepierre, 2004.
Nelle immagini l'anima: antologia fotografica, a cura di L. Pellegatta e O. Dino, Milano, Ancora, 2007.
Diari e altri scritti, nuova edizione a cura di Onorina Dino, note ai testi e postfazione di Matteo M. Vecchio, Milano, Viennepierre, 2008
A. Pozzi - T. Gadenz, Epistolario (1933-1938), a cura di O. Dino, Viennepierre, Milano 2008.
Tutte le opere, a cura di Alessandra Cenni, Garzanti, Milano, 2009.
Poesia che mi guardi, a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino, Bologna, Luca Sossella Editore, 2010.
Soltanto in sogno. Lettere e fotografie per Dino Formaggio, a cura di Giuseppe Sandrini, Verona, Alba Pratalia, 2011.
Flaubert. La formazione letteraria (1830-1865) , a cura di Alessandra Cenni, Milano, Libri Scheiwiller, 2012.
Lieve offerta, Poesie e Prose, a cura di Alessandra Cenni e Silvio Raffo, Milano, Bietti, 2013.
Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere (1919-1938), a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino, Milano, Àncora, 2014.
Nel prato azzurro del cielo, a cura di Teresa Porcella, illustrazioni di Gioia Marchegiani, Firenze, Motta Junior, 2015.
Parole. Tutte le poesie, a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino, Milano, Àncora, 2015.
Lieve offerta, Poesie e Prose, a cura di Alessandra Cenni e Silvio Raffo (con la biografia di Alessandra Cenni: In riva alla vita), Milano, Bietti, 1ª ed. 2014, 2a ed 2015, ebook 2016.

Dal Segnalibro di maggio:




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