venerdì 28 giugno 2013

I RACCONTI DI VENER dì - Giuseppina Zupi



Il tempo di risuscitare


Autrice: Giuseppina Zupi

La pianta che le avevano regalato era un tripudio di colori: i fiori di un rosso smagliante, le foglie verde smeraldo, tese, dai contorni netti. Un trionfo della natura.
Come la sua vita, completamente appagante, colma di colore.
L’aveva collocata in salone e la contemplava con gioia e soddisfazione.  Annaffiava, somministrava il concime quando occorreva e la curava costantemente.
Con il trascorrere del tempo, poiché la pianta era sempre di un vivido splendore, iniziò a trascurarla: ad innaffiarla meno, a guardarla meno, a goderne di rado. Venne un tempo che la dimenticò. Si accorse che la terra era divenuta arida e secca e i colori tendevano sbiadire.
Come era potuto accadere?
La portò fuori il balcone, auspicando che l’aria tiepida della primavera imminente avrebbe giovato. Ricominciò ad annaffiarla e a curarla quotidianamente. Troppo tardi. Malgrado tutte le attenzioni la pianta percorreva, inarrestabile, una fase discendente. Non scaturiva alcun beneficio dall’acqua, dalle cure, dalle attenzioni. Caddero prima le foglie, poi i petali dei fiori. Rimasero due rametti spogli e secchi che rappresentavano l’epilogo di una bellezza antica e smarrita. Si svuotarono di linfa anche i due rametti che divennero due canne bianche, come ossa di morti lontani.
Come la sua vita che rispecchiava il percorso della pianta, seguendone il decorso.
Procedeva tutto per il meglio, non si presentavano particolari difficoltà. Era bastato ritenere questo stato di grazia scontato e perenne, per dimenticare di alimentarlo ed era iniziato il diagramma del declino.
Dolore, distacchi, tradimenti, problemi irrisolti, avevano prosciugato la sua linfa vitale.
Percepiva le gambe simili alla pianta essiccata, camminavano ma prive di volontà e consapevolezza.
“Sono un morto che cammina”, sosteneva il Giudice Borsellino, pensiero premonitore di una fine imminente.
La sua non era una fine fisica, materiale, corporea ma la desertificazione del cuore, la morte dell’anima, situazione in cui, la volontà o anche una goccia di amore non scalfiscono l’aridità ormai stratificata.
Per pigrizia non svuotò mai il vaso, proponendosi prima o poi di farlo. Tuttavia quando, con la pompa dell’acqua, annaffiava i vasi del balcone, automaticamente versava l’acqua anche in quello della pianta morta.
Quel che rimaneva della pianta, per trascuratezza, rimase in quello stato desolante per tre lunghi anni.
Una mattina, alzando la serranda della stanza, vide penetrare un raggio di sole sottile come una lama. Si affacciò sul balcone.
Nel vaso della morte, abbarbicato alle canne bianche, vide un sottile rametto, appena germogliato, con un grappolo di tenere foglioline verde chiaro.
La povera pianta era risuscitata dopo tre anni, quando ormai era impossibile crederci.
La resurrezione dalla morte avvenne dopo tre giorni, quando forse nessuno o pochi credevano fosse possibile.
Forse sarebbe risorta dalla morte della sua vita, anche se ora non poteva crederci.  

Giuseppina Zupi ritorna con un racconto pregno di significati che vanno oltre il visibile, l’immediato. La pianta colorata e piena di vita, prima, morente, poi, indica i cambiamenti che sempre possono avvenire – e avvengono – nella vita di tutti noi.
Siamo esseri complessi e, come tali, anche contraddittori; in noi albergano contemporaneamente la vita e la morte nelle loro infinite sfumature.
La scrittrice Giuseppina Zupi è molto abile nel parlarci di argomenti così sottili e delicati con un esempio che appartiene alla quotidianità di tutti noi. Una semplice pianta d’appartamento diventa simbolo di un’evoluzione insperata, nel ciclo vita-morte-rinascita nel quale possiamo riconoscere un senso che altrimenti mancherebbe. La “desertificazione del cuore” è altra immagine indovinatissima, nel contesto del racconto, e viene a dirci che il miracolo è possibile – e, soprattutto, è tale – proprio quando le condizioni sembrano più avverse, più votate alla sua non-possibilità.

Per contattare l’autrice: giuseppina.zupi@mit.gov.it

Della stessa autrice: La metafora della vita

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