venerdì 15 luglio 2016

I RACCONTI DI VENERdì - Monica Fiorentino



“Treno per Lisbona”

Autrice: Monica Fiorentino

Lettera 21.
La sua Poesia. In quell’istante Mattia sollevò la testa dal foglio, adagio, puntando fuori dal finestrino il lento calare delle tenebre, l’imbrunire coi suoi colori accesi di rosso e d’oro, a bagnare le rotaie, capaci ancora di emozionarlo con la loro forza, nonostante si trovasse in quei luoghi di martirio, cimiteri a cielo aperto, voluti per mano umana.
Il vagone deserto, muto, un foglio semi-stropicciato sulle gambe, il bicchiere in plastica del caffè tra le mani, quei versi sotto le dita a divenire campi da arare, coltivare, per far spuntare nuovi fiori profumati, nuove speranze, nuova luce in cielo. Pagine che il sangue e la dittatura, non erano ancora riusciti a zittire con la loro efferatezza.
Lui, adorava la poesia, il suono che le parole producevano nella sua anima al loro avanzare, scorrere, incalzare“Sono bellissimi i tuoi haiku, Mattia, dovresti pubblicarli! Tutti! La speranza non dovrà mai andare persa, mai! Il mondo tornerà a vivere!” l’incitavano i commilitoni, suoi amici, quando lo vedevano scrivere, “Il poeta”, perennemente con quei fogli piegati nelle tasche dei calzoni, anche in branda, di notte, alla fioca fiamma di un lumicino.
“Dovresti farlo Mattia, la tua poesia aiuta tutti noi, aiuterà anche gli altri!” lo esortava la dolce Olivia, da sempre nel suo cuore, così bella coi libri sottobraccio, in corsa verso la sua Università, ciò che restava ancora delle aule, tra i calcinacci e le matite spuntate sparse alla rinfusa.
Il cadenzare del treno a fargli compagnia, alternato al sonno sereno del suo fedele Thor accucciato lì accanto, il ferro a scorrere lungo i binari, l’odore della carta consunta, sopra cui appuntare sogni e speranze, in salvo dall’apocalisse che stava consumandosi attorno, lontano dalle bombe, dagli spargimenti, i ventri aperti, il dolore della gente. Era quella la sua gioia, il suo motivo ancora valido di vita, laddove niente passava: la sua poesia, nasceva furente.
Ancora guerra, ancora rabbia, là tra i cadaveri ammassati per le strade, la cenere incollata ai resti di carne crivellata, esposta allo sguardo, pullulante di mosche e sciami d’api a impastarsi con la polvere, senza riguardo alcuno, i corpi spalancati a croce ai margini dei marciapiedi. Follia umana.
Gli occhi del giovane si abbassarono, pieni di lacrime,era in quei momenti che la poesia gli era sempre venuta in aiuto,quando tutto si faceva più tetro e sembrava perdere inesorabilmente ogni forma e colore,i suoi haiku, quei tre versi nello stile classico, una manciata di più all’occidentale. In quei momenti, loro, erano sempre riusciti a salvargli la vita, insieme alla certezza inappuntabile che avrebbero riportato un giorno nuovo respiro.
“Le pubblicherai tutte queste poesie. Questi haiku riporteranno la pace, parleranno ancora di giorni di gioia!”gli aveva sussurrato Olivia dopo l’amore, i suoi capelli sparpagliati, calda dei loro umori, la testa poggiata sul suo petto, in quel loro letto di fortuna, materasso a cigolare, rifugio notturno dalla battaglia esterna “La poesia Mattia, non potrà mai fermarsi!” il suo ventre a contenerlo tutto. Gli attimi in cui il soldato lasciava il posto all’uomo, l’odore di lei sulla pelle. “Scrivi, scrivi sempre amore mio, non fermarti, ed il mondo non smetterà mai di brillare!” era stata la preghiera di lei, col cuore in tumulto, nel loro bacio più appassionato. La guerra sarebbe finita e lui era certo, l’avrebbe potuta avvolgere trepidante,ancora una volta fra le sue ali. Mattia, quella sua mimetica incollata addosso, a fasciargli il petto tracciato di cicatrici, cassa toracica enorme che sembrava potesse racchiuderne due di cuori, sentiero indomito, lupo selvaggio, pettirosso  dalle ali di neve, lo sguardo pieno d’amore, complice, la bocca dal sapore di margherite selvatiche.
Di colpo, spinse lui, a denti stretti, con foga, lontano il bicchierino vuoto del caffè, all’ennesimo boato a far tremare la direzione del convoglio,stridio di freni convulsi a lacerargli i timpani, confondendosi col latrato di Thor, sul suo ultimo haiku a sfocarsi in mille cristalli di luce Suspiros de pasión_/a infrangersi come onda/nel mio sangue: il tuo nome. Chiudendo le dita a pugno, per sempre, sulla notizia, a pieno titolo, in prima pagina, dell’ultima mina esplosa, ingegnata a spargere morte. “Grave attentato!”, “Senza tregua la vigliaccheria dei guerriglieri!”,“Colpito il treno per Lisbona!”,“Ennesima sanguinosa strage dall’inizio del conflitto!”  “Pray for the peace!”, “Je suis Lisboa”. Lui, angelo smarrito a serrare i suoi begli occhi viola, di dolore accesi, velati di lacrime,  a puntare verso quel cielo sopra la guerra, in un ultimo anelito di orrore.

Della stessa autrice:  “Promesso?...Promesso!”

Per contattare l’autrice: angelo.dicarta@libero.it

Cos’è la guerra, se non l’assoluta cecità dell’odio? Ce lo ricorda la potente scrittura di Monica Fiorentino, che tra versi e prosa continua il suo instancabile lavoro dedicato ad una presa di coscienza – che deve essere necessariamente personale e collettiva – che non ha mai fine. Anche nel “Treno per Lisbona” i particolari chiarificatori si fanno strana attraverso il dolore che sembra impregnare anche l’aria.
Grazie a Monica Fiorentino, agli “accostamenti” della sua scrittura e alle sue “visioni”, possiamo renderci conto più facilmente di quali conseguenze nefaste può avere – e ha, sistematicamente – l’odio cieco e inconsulto. E non c’è “giustezza” che tenga, di fronte alla distruzione ottusa. Questo, l’arte può insegnarcelo “nel profondo”.

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