Il gufo ballerino
Goky il gufo si trovava con gli artigli
conficcati nel ramo del pino, portava un pesante elmo in testa, teneva stretto
sulla sinistra un pugnale dall’impugnatura argentata, ed indossava i calzari
degni per un guerriero come lui. L’armatura grigia brillava sotto la luce di
Regina Luna, tutt’attorno non si udivano molti suoni, solo il canto del vento,
intonava una dolce melodia, ed era intervallato con la voce del nostro “eroe”.
Goky doveva fare la guardia, ma lavorava in un modo particolare… russava
rumorosamente, l’elmo ricadeva sopra agli occhi, coprendogli il volto. Invece
di comportarsi nella maniera corretta, faceva l’esatto contrario. Apparteneva
ad una famiglia prestigiosa, da secoli ogni membro era al servizio delle
Divinità boschive, aveva ricevuto il compito dal genitore di difendere la
Regina Luna dagli eventuali nemici, ma odiava quell’ingrata missione.
Goky nutriva ben altri interessi: la sua
passione “segreta” era il ballo!
Il gufo “infingardo” si recava nel Bosco
Danzereccio: in quel luogo organizzavano, dal giovedì alla domenica,
meravigliose feste capitanate dai migliori Dj. Erano tutti famosi, si
alternavano tra loro, ed una volta ogni tre mesi suonavano assieme dalle 21:15
fino al sorgere dell’alba. Si trattava di una serata sciccosissima, i
partecipanti maschi vestivano abiti firmati, disegnati dagli stilisti più in
voga del momento, mentre le femmine sfoggiavano capigliature di gran moda, alcune
sembravano delle vere e proprie “sculture pelose”. Goky era super-vanitoso (peggio
di una femmina pennuta).
Fino a quel momento non aveva mai perso
nessuna serata, solo l’idea rischiava di farlo impazzire. Pensava di essere
irresistibile, amava sentire gli occhi delle invitate sopra di sé, ma lungi da
lui contrarre matrimonio; bramava di essere ammirato in tutto il suo favoloso
splendore. Il motivo prediletto era:
Gufette mie belle, siete simili alle stelle, ma dovete solo guardare, se
osaste toccare, rapidamente me ne dovrò andare.
Il finto guerriero era un amatore a
“metà”, evitava di prendersi le responsabilità, sia dal punto di vista
lavorativo che sentimentale. Voleva “mordere” la vita ogni giorno, cogliere
l’attimo fuggente, senza pensare troppo al domani. Sentiva di essere
“eternamente” giovane, ormai aveva raggiunto l’età della maturità emotiva, ma
non pensava materialmente alla schiacciante anagrafe, avrebbe preferito restare
un adolescente, frequentatore assiduo dei party.
In quella nottata stava sonnecchiando
con il copricapo ferroso posizionato sopra le palpebre, dopo l’ennesima
baldoria assieme ad improbabili amici. Tra loro si annoverava un essere
speciale, si chiamava Misty, non apparteneva al mondo effimero del gufo, era
una simpatica civetta, figlia del popolo, molto acculturata. I suoi genitori
avevano lavorato tanto, pur di riuscire a racimolare il denaro necessario per
gli studi, ma una volta giunta all’Università suo padre si ammalò di cuore, fu
costretto a ridurre l’attività, così la civetta, si trovò un lavoro e terminò gli studi, laureandosi in
giurisprudenza con il massimo dei voti. Il giorno della discussione della tesi
erano tutti presenti, compreso l’amico gufo, ma anche in quell’occasione arrivò
in ritardo a causa della solita festa.
Si presentò in facoltà con l’alito ancora
puzzolente di grappa al pino (mantenne il controllo e non ruttò). Fece una
grama figura, però Misty gli voleva bene, perdonò il comportamento debosciato
di Goky. Infine… in certe occasioni, con debito travestimento, vestiva i panni
dell’amico e saliva in cima all’albero, faticando non poco mentre indossava la
pesante armatura.
Il cosiddetto eroe si era ubriacato più
di una volta, svolgere il suo compito sarebbe stato impossibile senza
l’intervento della civetta, se fosse stato scoperto nessuno gli avrebbe
risparmiato una bella lavata di capo. Suo padre Gufo Senior era un valente
generale: non conosceva la natura del figlio, lo credeva l’esatto opposto; se
avesse immaginato una realtà diversa gli sarebbe venuto un colpo, ma a Goky non
passava per la testa di rischiare di essere “beccato”, continuava con
tranquillità il tran tran quotidiano.
In quel preciso istante si stava
chiedendo perché Misty non si era ancora presentata all’appuntamento, era
troppo stanco e doveva andare a letto. Improvvisamente comparve suo padre,
capitò l’incubo peggiore in assoluto… essere colto in flagrante! Gli urlò nelle
orecchie, spiattellandogli in faccia tutte le emozioni del momento, terminò con
un’ atroce confessione: gli svelò che Misty era morta, uccisa per sbaglio da un
cacciatore. Goky tremò come una foglia, si fece ripetere le ultime frasi, non
voleva crederci, gli sembrava un incubo, ma fu costretto ad accettare la
terribile verità. Pianse come mai nella vita, il giorno del funerale si
presentò in orario, giurò a se stesso di cambiare.
Goky rispettò il patto, riuscì a laurearsi e faticosamente diventò un
giudice. Quando prestò giuramento, lo dedicò alla coraggiosa amica, piangendo
per l’ultima volta.
Elisabetta Mattioli sa trattare temi “leggeri” e temi più impegnativi, anche nel contesto
di un unico racconto. La sua scrittura si fa strumento efficace e multiforme,
grazie alla quale siamo proiettati in “mondi paralleli” eppure vicini,
probabili. osì comprendiamo meglio, grazie all’arte della parola scritta, il “multiforme”
che fa parte di ognuno di noi.
I personaggi di Elisabetta Mattioli possono essere “letti” come altrettante
emozioni, sentimenti che albergano in ognuno di noi. Tra aspettative e
delusioni, tra rigidità e lassismo, tra speranze e delusioni, spesso c’è lo
stridore delle contraddizioni, dei passi falsi che – sempre – precedono l’acquisizione
delle consapevolezze.
Della stessa autrice: L’atollo